Credo che sogno di chi ha giocato a basket, ed è cresciuto con i commenti di Peterson, Bagatta e il dinamico duo Tranquillo – Buffa (Ma un anno c’è stato anche Francica-Nava ???), sia quello di poter assistere almeno una volta nella vita ad una partita NBA. E proprio a questo, circa sei mesi fa, pensavamo io e Gibi (Mainetti) quando abbiamo preso la decisione di farci una settimana sulla East Coast, mete NYC e Boston.
Dopo lunghi mesi di preparativi (acquisto biglietti on-line, prenotazione ostelli, raccolta delle monetine per pagarceli ecc…ecc…), ecco finalmente arrivato il giorno della partenza…Anzi forse è meglio fare un passetto indietro, alla sera prima, quando squilla il telefono di casa mia. Come al solito risponde Simona: "Ciao Gibi !!! Pronto per la partenza ??? Come ??? Ma dai !!! Che sfiga !!! Te lo passo…mannò, perché dovrebbe incazzarsi…" Insomma per farla breve il buon Gibi alla prima azione della partita dell’infimo Campionato in cui gioca (???) si stira l’adduttore destro…Sfilza di bestemmie al solo pensiero di doverlo spingere su una carrozzella per la 5°Av. , e tutti a dormire…Per fortuna l’infortunio risulta meno grave del previsto, e dopo una notte di ghiaccio siamo pronti per partire alla volta di Niù Iòrch.
Giungiamo a Malpensa in perfetto orario, peccato che la coda per il check-in duri 60 min. + altri 15 quando arriva il nostro turno, tanto che la signorina addetta, a volo ormai chiuso, ci accompagna direttamente al gate, sbattendoci sull’aereo ormai coi motori accesi. Poco male, visto che i nostri due posti sono vicini ad una niùiòrchese niente male…Gibi si piazza prontamente al suo fianco, mentre a me tocca una simpatica signora di 80 anni originaria di Bari che mi racconta come ormai la vita costi meno a NY che in italia (come termine di paragone usa il prezzo del merluzzo !?!?!), mi fa un elenco dettagliato di tutte le disgrazie che le sono capitate negli ultimi sei mesi che in confronto le piaghe di Israele sono una barzelletta, e così via...
Giungiamo a JFK in perfetto orario, ed espletate le formalità doganali, siamo pronti in stile Totò e Peppino ad affrontare il rigido inverno Nord Americano…Cielo coperto, ma temperatura di 18°C che si innalza a 36 nella metropolitana con annesso bagno di sudore. Arrivati a Time Square, dove ha sede il nostro ostello, il fetore che emaniamo è tale che anche i topi che affollano la metropolitana ci scansano schifati.
Alla reception troviamo la busta contenente i due biglietti per il Sunday Night NFL, il posticipo del campionato di Football Americano, tra NY Jets e i Miami Dolphins. Giusto il tempo di una doccia, due passi sulla 5°Av. per ambientarci alle dimensioni (XXL) del nuovo ambiente che ci circonda e siamo sul pullman direzione New Jersey, patria di Bruce Springsteen, e sede del Giant Stadium. Come da tradizione ci presentiamo due ore abbondanti prima della partita, i cancelli sono ancora chiusi, ma i parcheggi sono già affollati di gente, che perfettamente organizzati con tavoli, sedie e BBQ si preparano la cena annaffiandola con fiumi di birra. Finalmente aprono i cancelli e accediamo ad un impianto bellissimo, da ogni posto possibile la visuale è perfetta ed ognuno ha il proprio posto assicurato senza gente seduta sui gradini, mega schermi che trasmettono i replay di tutte le azioni e un impianto acustico da far impallidire i Pink Floyd. L’ambiente è diametralmente opposto ai nostri stadi; nonostante la violenza di questo sport, il pubblico è correttissimo e spesso si incontrano tifosi delle due squadre seduti fianco a fianco a discutere della partita e gli sfottò rimangono nei limiti della decenza e l’insulto peggiore alla squadra avversaria è BBBBBOOOOOOOOO !!!!!!! Questi i lati positivi, poi ci sono al solito gli eccessi di patriottismo con inno cantato dal vivo (anche se sicuramente di effetto spettacolare…vero Elisa ???) e passaggio di elicotteri da guerra sullo stadio…stucchevole…Qui non ci sono mascotte, ma un tipo bardato di tutto punto che fa il giro dello stadio ed invita la gente ad inneggiare per la squadra di casa, ovviamente tutto ciò fa molto successo e tra un hot dog e l’ennesima birra si arriva alla partita. Esodo dallo stadio al solito ordinatissimo con coda per prendere i pullman kilometrica ma scorrevole.
Al rientro in ostello facciamo la conoscenza con i nostri due compagni di stanza…apriamo la porta ed un fetore di piedi misto a sudore ci attanaglia la gola, spalanchiamo le finestre e ci corichiamo…non potevamo sperare in due pleìmeìts, ma stì due puzzoni di franzosi fanno proprio schifo !!!
Giornata dedicata alla visita di una parte della città: Upper East Side, la zona ad est di Central Park. La zona residenziale più ricca. Le case hanno tutte un entrata stile Grand Hotel con tendone e annesso omino in divisa da Lacchè. Pare che avere un indirizzo sulla 5°Av. a quest’altezza della città sia così ambito che anche i condomìni nelle strade laterali, per darsi un tono di esclusività, hanno un indirizzo che non fa riferimento alla strada dove si trovano ma alla 5°Av. La cosa scioccante è che arrivati in prossimità della 100ma St. comincia Harlem e dal lusso sfrenato si passa ad un quartiere decisamente meno ambito…ma come ci si accorge presto in questo paese i forti contrasti sono all’ordine del giorno.
Proseguendo arriviamo al Museo Gugghenheim con la sua classica forma di cono rovesciato, e decidiamo di visitarlo. All’interno, oltre all’esposizione permanente di arte moderna, ci troviamo due mostre: una fotografica (decisamente non molto attraente) ed una formata da installazioni video decisamente più attraente…La visita di questo particolare museo si effettua salendo all’ultimo piano e scendendo percorrendo il corridoio a spirale e le salette laterali dove sono esposti quadri, foto e installazioni video.
Finito il momento culturale, l’appetito ci fa soffermare ad un classico baracchino ambulante che vende hot dog, ma siccome uno non basta di certo a sfamare il piccolo grande Gibi ci fermiamo anche nei successivi tre. Arrivati alla parte più Est di Manhattan si ha per la prima volta la sensazione di trovarsi su un’isola. Percorriamo la "costa" sino al palazzo delle Nazioni Unite, prima di rientrare verso l’ostello.
Decidiamo di passare la serata in un classico Sport Bar, televisori e grandi schermi tutt’attorno al bancone da cui possiamo assistere contemporaneamente a 5 partite NBA, due di hockey, una NFL e ad una puntata di Star Trek Next Generation (ma che cazzo c’entra ????), anche se decisamente l’attrazione principale è la barista, una ispanica da urlo dotata di una carrozzeria super e soprattutto di un paraurti che invita allo scontro frontale. Ad un certo punto della serata entra in scena una tipa vestita da statua della Libertà, con corona, fiaccola e fotografo personale…tale Sondra Fortunato (chissà di che origini ???) una over 40 con due tette della sesta misura (minimo) che si spaccia per Miss Superbowl (ma di che era geologica ???) e si aggira per il locale a fare fotografie con tutti…Per fortuna io e Gibi scampiamo al supplizio e ci dedichiamo tranquillamente a birra, nachos, partite e…barista.
Solito rientro in camera con maschera antigas stile I Guerra Mondiale e nanne già sognando il Madison Square Garden.
Visto che la nuova giornata offre un tempaccio uggioso e piovigginoso, ne approfittiamo per allungare l’impegno culturale del giorno precedente ed affrontiamo la visita del Metropolitan Museum. Un impresa decisamente improba, il museo è di una vastità impressionante e le cose da vedere sarebbero innumerevoli. Decidiamo di limitarci alla Pittura Europea e all’Arte Giapponese (per scelta di Gibi) e comunque arriviamo così a metà pomeriggio. Torniamo a fare riposare un po’ i piedi in camera (e stavolta suppongo che saranno i franzosi ad aver da ridire hehehehehe…) e, sotto il diluvio, ci dirigiamo all’angolo fra la 33ma St. e la 7°Av. dove in tutto il suo splendore ci accoglie il palazzetto più famoso del mondo (dopo il Pala-Trussardi/Vobis/Tucker/Mazda ecc…): il mitico Madison Square Garden.
Bagnati come pulcini entriamo nella splendida struttura, e dopo aver ritirato i biglietti ci dirigiamo con le scale mobili ai nostri posti. L’emozione è quasi incontenibile quando finalmente entriamo nel catino del Madison. Un’arena splendida, i sedili sono imbottiti di quelli tipo cinema, e sono colorati (viola o verde) a seconda dell’ordine di posto. Il solito supertabellone pende dal soffitto esattamente in mezzo al campo, e, sotto i Box per i ricconi, c’è tutta un'altra serie di tabelloni luminosi che alternano i risultati degli altri campi con le statistiche della partita. Dimenticavo di dire che il match in questione sarà fra i derelitti NY Knicks e "l’ università del pick and roll" altrimenti detti Utah Jazz.
In campo per ora ci sono un paio di giocatori che tirano (tra cui riconosciamo Latrell Sprewell), le tribune sono ancora semideserte e ciò ci consente di girare per il palazzetto liberamente avvicinandoci a pochi metri dal campo. Ci si può fermare sino a pochi secondi dall’inizio della partita poi ti rispediscono al tuo posto. La partita non è proprio tiratissima, ma quando finalmente assistiamo al primo Stockton to Malone non possiamo esimerci dal sobbalzale sui sedioli attirando le "ire" delle due tifose Knicks al nostro fianco.
I Nùìorchesi evidentemente se la prendono molto comoda o sono bloccati dal traffico, perché il Madison termina di riempirsi solo all’inizio del secondo quarto, e comunque per tutta la partita è un continuo via vai di gente che va a prendersi da bere e da mangiare…passato il blocco emotivo anche io e Gibi ci adeguiamo e ci andiamo a comperare un bell’hamburgher con patatine fritte e birrone gelato…devo dire che tutto ciò che ruota attorno all’avvenimento sportivo, dal biglietto al cibo, è piuttosto caro. Comunque le patatine fritte del Madison sono di gran lunga le migliori che abbiamo mangiato in questo nostro tour.
All’inizio del terzo quarto la partita è ormai ampiamente decisa a favore di Utah, così da buoni italiani approfittiamo del fatto che la gente sfolla fra i boooo di disapprovazione, e ci accomodiamo a sole 7 file dalla panchina di Utah. Da qui la prospettiva è incredibile, stì cristoni fanno sembrare il campo da gioco e l’altezza dei canestri assolutamente inadeguati…ehi, da qui si vedono decisamente meglio anche le New York City Dancers che allietano gli intervalli con le loro coreografie mentre altri personaggi tirano magliette al pubblico…altra particolarità che notiamo è che durante i taìmaùt prima avviene un conciliabolo fra tutti gli allenatori, poi in effetti sembra che non abbiano molto da dire ai giocatori…comunque ne approfittiamo per scattare qualche foto ravvicinatissima a due leggende ormai quarantenni (ma non sembrerebbe) come Karl Malone e John Stockton. All’improvviso si piazza seduto affianco a noi un ragazzone che mi rivolge la parola sfoderando un alito all’alcool misto salame che mi stende letteralmente. Scopro che è un italo-americano che vive ne New Jersey, e appena dico di essere italiano, non so per quale motivo mi fa una raffica di domande su Amsterdam (???). Non so come abbia capito che sono ferrato sull’argomento, tant’è che poi ci spiattella una serie di nomi di strip-bar…ma per chi ci ha preso questo qui ??? Noi siamo qui per il basket…
Termina la partita e, dopo un giro per souvenirs, a malincuore lasciamo l’impianto per andarci a prendere il meritato riposo (franzosi puzzoni, ma proprio non la vogliono capire…)
E così siamo arrivati a Mercoledì mattina, e questo schifoso tempo non vuole proprio migliorare. E’ uggioso ma perlomeno non piove così possiamo passeggiarci l’Upper West Side a Ovest di Central Park. Il Lincoln Center sede del Metropolitan Theater, il Dakota Building dove fu ucciso John Lennon e dove ancora abita (quella stronza di) Yoko Ono, Strawberry Field all’interno di Central Park, la Columbia University e, una volta tornati a Times Square (che la sera con tutte le sue luci e le insegne dei teatri di Broadway è uno spettacolo impareggiabile nonché il più classico esempio dell’opulenza di questi posti) ci rechiamo in pellegrinaggio all’Ed Sullivan Theater dove si registra il David Letterman Show. Nella via a lato del teatro notiamo un crocchio di persone a cui ci avviciniamo incuriositi per chiedere cosa stessero facendo lì. Ci rispondono che l’ospite del giorno da Letterman è l’attore Robin Williams, e che lo stanno aspettando. Visto che tempo prima di recarci alla Continental Arena per assistere a NJ Nets – S. Antonio Spurs ce n’è, decidiamo anche noi di fermarci. Dopo esserci intrattenuti a chiacchierare con queste simpatiche signore di Buffalo (o delle Cascate del Niagara come ci tengono a precisare), ecco che finalmente arriva Robin Williams. Molto paziente e gentile si intrattiene con tutti firmando autografi e facendosi fotografare con tutti quelli che lo richiedevano, fino a che qualcuno gli dice che ci sono due italiani. Arriva subito da noi scherzando in un italiano stentato tipo buongiorno buonasera come stai, e aderisce volentieri alla nostra richiesta di una foto in sua compagnia. Ma che città pazzesca…
E’ arrivata l’ora x, e così ci dirigiamo a prendere il pullman per la Continental Airlines Arena (qui i palazzetti hanno nomi di compagnie aeree o banche, da noi portano il nome di società fantasma o truffatori…in questo non ci differenziamo molto), che è sita affianco al Giant Stadium e all’ippodromo formando il Meadowlands Sport Complex. Arrivando alla Continetal mi sento doppiamente emozionato, è infatti detta "The house that Bruce buildt" per via del fatto che è stata inaugurata con una serie di concerti di Bruce Springsteen che ancora stabiliscono il record di pubblico raccolto da un singolo artista, la considero quindi un luogo quasi sacro.
E’ veramente gigantesca, direi addirittura troppo. Si estende in altezza e gli ultimi posti in alto danno l’impressione di essere su di un precipizio. La partita promette di essere decisamente più combattuta della precedente e la presenza dell’ex "italiano" Manu Ginobili ci spinge a tifacchiare per gli Spurs. Purtroppo la partita di Manu non sarà certo esaltante, mentre i Nets sciorinano il solito Flying Circus, con il solito direttore d’orchestra Jason Kidd (probabilmente particolarmente stimolato dal confronto con il "caraibico" Duncan, che lo scorso anno lo ha preceduto nella classifica come MVP) a distribuire sapienti palloni per gli schiaccioni a turno di Martin e Jefferson. Veramente esilarante il modo in cui lo speaker annuncia i canestri di Kidd, con una voce da isterico…Gèisssonkkkidd !!!!!!
I Nets vincono una bella partita, e noi per festeggiare, ci dirigiamo con la metrò al Village per berci un paio di birre ed ascoltare un po’ di musica dal vivo.
Per l’ultimo giorno nìùiorchese il tempo ci fa un bel regalo e la giornata ci accoglie con un bel sole tiepido, che ci consente così di dedicarci completamente a completare la visita della città.
L’isola della Statua della Libertà è il punto di partenza, e durante il breve viaggio in traghetto incontriamo una coppia di Casertani in America da 30 anni, che come ci sentono parlare italiano ci attaccano un bottone clamoroso. Ci raccontano in un italiano da barzelletta che abitano a "Broccoleìn" (giuro che lo dicevano così) e ci investono con una serie di consigli che noi educatamente accettiamo con il sorriso sulle labbra, anche se onestamente ne comprendiamo sì e no un terzo. Arriviamo a Liberty Island e la cosa che subito mi colpisce è la schaìlaìn di Manhattan con il buco lasciato dalle "due torri"…il ricordo della mia ultima visita è ancora vivo e l’impressione che manchi qualcosa è netto ed angosciante.
Rientrati a terra, percorriamo la Broadway, passiamo davanti a Wall Street e dopo poco ci ritroviamo dove sorgeva il World Trade Center. Lo spettacolo è apocalittico, un immensa voragine si apre in uno spazio grande come 4 o 5 campi da calcio, ci sono ancora un sacco di persone a lavorare, con camion e ruspe. Un senso di vuoto ci pervade ed è singolare come di colpo i rumori della città più frenetica del Nord America, di colpo quasi scompaiano, si attutiscano. La gente passa e si ferma a guardare attonita e silenziosa, nessuno ha quasi il coraggio di scattare delle foto, solo qualche "giappa" si mette in posa sorridente, ma non credo per insensibilità…C’è un grande cartello con tutti i nomi delle vittime, ed è facile, scorrendo i nomi, accorgersi della proporzione di almeno 1 italo-americano su 3…di fronte c’è una grande chiesa alla cui cancellata che la circonda, sono appesi cartelli, maglie, bandiere di tutto il mondo, sciarpe di squadre di calcio, foto, poesie, dediche, insomma tutto ciò che possa tener vivo il ricordo di chi ha perso innocentemente la vita pagando un prezzo di colpe che non ha mai avuto.
Con l’animo e il cuore ancora in subbuglio ci dirigiamo silenziosi verso il Ponte di Brooklyn e lo percorriamo a piedi sino al gigantesco quartiere da cui prende il nome. Il ponte è infatti praticamente su due piani, sotto passano le macchine, mentre sopra è percorribile a piedi, in bici, coi pattini o come diavolo vi pare.
Riprendiamo la Broadway, attraversiamo i quartieri di TrIbeCa e Soho ed arriviamo a Chinatown. Una vera bolgia, che in pratica consideriamo come un prossimamente di quello che stà accadendo nella nostra vecchia e amata zona 6. All’interno di Chinatown è ormai moribonda la una volta famosa Little Italy, oggi ormai ridotta a qualche negozio di cianfrusaglie che dimostra la propria italianità con qualche maglietta di Mussolini in vetrina…che tristezza !!!
Tagliamo per Bleecker Street e ci troviamo nella zona della NY University, arriviamo in Washinghton Square con il suo arco quasi identico, ma più piccolo (!!!), all’Arco della Pace. Pellegrinaggio al n.3 di Washinghton Mews, che i lettori di Martin Mystère conoscono bene, e via sulla 5°Av. verso l’Empire State Building. Saliamo all’86mo piano, da cui si gode di una vista mozzafiato della città illuminata.
Rientrando verso casa, qualcosa di sovrannaturale ci spinge a passare dal Madison, e lì il tabellone luminoso all’esterno ci dice che la sera stessa si tiene il "Coaches vs. Cancer Invitational" con la partecipazione delle squadre delle università di Syracuse (la squadra di casa), Memphis di coach Calipari, Alabama (numero 4 del ranking) e Oklahoma (numero 7). Ci infiliamo come furetti, e mentre siamo in coda alla cassa, chiedo al signore davanti a me (il sosia di Spike Lee) se sa quanto costano i biglietti. Mi chiede se siamo turisti e io gli spiego che siamo italiani, appassionati di basket ecc…ecc… e allora lui in risposta ci regala un paio di accrediti che alla cassa (dopo aver pregato il cassiere) ci cambiano con due posti a 8 file dal parquet.
Ormai veterani del Madison raggiungiamo i nostri posti e ci godiamo lo spettacolo. A differenza delle partite NBA qui la prima fila non è occupata da ricconi che amano più mettersi in vista che il basket, ma da una sfilza di Scout e osservatori NBA che prendono avidamente appunti.
Nella prima sfida tra Syracuse e Memphis rimaniamo impressionati da un Freshmen (primo anno) della squadra di casa al suo esordio assoluto, tale Carmelo Anthony (non fatevi ingannare dal nome) un ragazzo di colore dall’atleticità impressionante e dalla manina abbastanza educata. Ma comunque il livello atletico è altissimo in generale, e rispetto all’ NBA c’è molta più ricerca dell’organizzazione di gioco ed intensità difensiva.
Syracuse crolla nel finale e coach Calipari porta a casa la grande W. In attesa del match fra ‘Bama e Oklahoma, andiamo a rifocillarci ed in fila con noi riconosciamo il mitico Kiki Vandeveghe, lo storico "passetto e tiro" compagno di squadra di Alex English.
Per la seconda sfida decidiamo di schierarci con Oklahoma, per via dell’antipatia per i nazi tifosi di Alabama, stato patria del KKK…anche stavolta ci va male, e Oklahoma perde seppur sul filo di lana.
Nuovo giro di birre e musica al Village e a casa pronti per il viaggio del giorno dopo che ci porterà a Boston.
Viaggio che parte da Chinatown, sì perché, dopo esserci informati sui prezzi di treni e pullmann ufficiali (un’esagerazione !!!), decidiamo di provare un servizio pullman che con soli 25$ fa il percorso diretto Chinatown (NY) – Chinatown (Bos)…unico inconveniente a guidare il pullman troviamo un cinese che, viste le esperienze milanesi, non ci da troppa fiducia. Il tutto si rivela invece vincente, perché il pullman è nuovissimo e il viaggio fila via liscio e puntuale…minima spesa massima resa…
A Boston ci accoglie una temperatura decisamente più "frizzante" e anche stavolta canniamo completamente l’abbigliamento, in questo caso più adatto per Miami Vice…Appena il tempo di sistemarci in ostello e già arriva il momento di dirigerci verso il Fleet (una banca) Center, eretto qualche anno fa in luogo dello storico Boston Garden. Ci arriviamo in metrò che però in quell’ultimo tratto della linea esce allo scoperto e percorre una mitica curva sopraelevata che per tanti anni avevamo visto in televisione prima di ogni partita dei Celtics trasmessa. Per un tifoso dei Celtics dai tempi in cui il 33 biondo da Indiana State abusava dello Show Time losangelino, il momento è di quelli che rimangono scolpiti nella memoria. Scesi alla North Station familiarizziamo subito con un ragazzo che vende magliette, la più bella è sicuramente quella che recita sul davanti "New Jersey Suck" e sul retro il numero 5 di Jason Kidd con al posto del nome "Wife beater" (picchiatore di mogli). Ci deve aver preso in qualche modo in simpatia, perché decide di regalarcela…Col nostro nuovo gadget entriamo finalmente al Fleet e vi troviamo subito una statua raffigurante Larry Bird al tiro, la foto è obbligatoria. Accediamo quindi all’interno del palazzo, che è sicuramente al livello del Garden. Le squadre non sono ancora in campo per il riscaldamento, c’è però Shawn Bradley (2m35cm !!!) che si allena a fare i ganci, coadiuvato da un assistente alto almeno 2.10 sennò è troppo facile. Riconosciamo anche il proprietario dei Dallas Mavs, il vulcanico (e straricco) Mark Cuban, che sta concedendo un intervista. A bordo campo (dove si può sostare senza problemi) si aggira anche Lucky, la mascotte dei Celtics, ne approfittiamo per una foto anche in sua compagnia…Ma quello è Mr. Basketball, The Houdini of the hardwood, The Cooz, è Bob Cousy l’uomo del logo NBA (per alcuni è Bill Russell, ma non importa…) il più grande passatore di tutti i tempi !!!
Arrivano finalmente i giocatori per il riscaldamento e qui causa caghetta da emozione comincio proprio a non capirci più niente, e scatto foto a ripetizione per immortalare sia i miei eroi che i fuoriclasse avversari.
Sigh !!! Purtroppo la partita finisce con una vittoria abbastanza netta di Dallas, grazie ad un super Dirk "classe" Novitzki che ricorda maledettamente nelle movenze e nei tiri un altro biondino che ha già calcato anni addietro, con discreto successo, il parquet incrociato con la maglia di Boston. Super dall’altra parte Antowaine Walker, mentre negativo Paul "The Truth" Pierce. Unica nota veramente positiva è che al mio fianco assiste alla partita la più bella ragazza di colore (con gli occhi azzurri e le lentiggini !!!) che mi sia capitato di vedere in tutta la vacanza, il cui spettacolo allevia lo scotto della sconfitta…Decidiamo di affogare i nostri dispiaceri nell’alcool, e quale posto migliore di Cheers ?!?! Scendiamo la magica scaletta indicata dal ditone bianco, ma all’interno non troviamo ne NOOOoooOOOrm ne l’Allenatore. Ci beviamo le nostre birrozze accompagnate da un piatto di cibarie assortite mentre guardiamo Suns – Rockets in tv (ma guarda un po’…) e passeggiamo al gelo fino a casa, chiacchierando su come potremmo cercare di far diventare un giocatore NBA un futuro figlio…
Sabato dedicato alla visita a piedi della città sotto una pioggia insistente che talvolta si trasforma in nevischio, e saccheggio del negozio di souvenirs del Fleet.
Come addio decidiamo di passare la Domenica in uno sport bar a rimpinzarci di pancake allo sciroppo di acacia, guardando 5 partite NFL, prima di andare all’aeroporto e ripartire per l’Italia…concludo dicendo che è stata un esperienza veramente splendida che voglio consigliare a chiunque ami questo sport.

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